Proprietà e benefici degli omega 3
Gli omega 3 sono acidi grassi polinsaturi che l’organismo non è in grado di sintetizzare in maniera autonoma, ma che può ottenere soltanto tramite l’assunzione di determinati alimenti, come ad esempio il pesce, in particolare quello dei mari freddi, o il fitoplancton. I componenti principali dell’olio di pesce sono l’acido eicosapentaenoico con 20 atomi di carbonio e cinque doppi legami (EPA; C20:5n-3) e l’acido docosaesaenoico a 22 atomi di carbonio e sei doppi legami (DHA; C22:6n-3).
Nel settembre 2004, la Food and Drug Administration (FDA) ha annunciato la seguente “indicazione certificata sulla salute” (qualified health claim) per gli acidi grassi omega-3 EPA e DHA: “Le ricerche indicano, sebbene non in via definitiva, che il consumo di acidi grassi omega 3 EPA e DHA può ridurre il rischio di cardiopatia coronarica.”
I benefici degli omega 3 sono moltissimi, vediamoli nel dettaglio.
1. Riduzione dei livelli di trigliceridi
In uno studio in doppio cieco, controllato con placebo, si è determinato l’effetto ipotrigliceridemizzante dell’EPA e del DHA. In questo studio, della durata di sette settimane, sono stati arruolati 234 maschi sani cui è stato somministrato, dopo randomizzazione, EPA etilestere, alla dose di 3,8 g/die, oppure DHA etilestere alla dose di 3,6 g/die oppure olio di mais alla dose di 4 g/die. I trigliceridi hanno subito una riduzione del 21% nel gruppo trattato con EPA e del 26% nel gruppo trattato con DHA, in confronto ai valori riscontrati nel gruppo trattato con placebo. È stato pure notato un modesto, ma significativo, aumento del colesterolo HDL nel gruppo trattato con DHA e un modesto decremento del colesterolo totale e della apolipoproteina A1 (Apo A1) nel gruppo trattato con EPA (Grimsgaard 1997).
La diminuzione dei trigliceridi indotta da EPA e DHA sembra il risultato degli effetti combinati di inibizione della lipogenesi e della stimolazione dell’ossidazione degli acidi grassi nel fegato. EPA e DHA inibiscono la trascrizione dei geni che codificano per gli enzimi coinvolti nella lipogenesi e aumentano la trascrizione degli enzimi che regolano l’ossidazione degli acidi grassi (Kim 1999).
2. Riduzione del rischio cardiovascolare
Studi epidemiologici dimostrano che una dieta ricca di omega 3 riduce significativamente l’insorgenza di cardiopatie (Kromann 1980, Kromhout 1985). I risultati di studi autoptici dimostrano inoltre che i tassi più elevati di cardiopatie coronariche di riscontrano in soggetti con le minori concentrazioni di oli omega3 nel tessuto adiposo (Seidelin 1992).
Lo studio GISSI, della durata di 42 mesi, ha esaminato l’effetto dell’apporto dietetico di olio di pesce e di vitamina E sulla mortalità e sulla morbilità di oltre 11.000 soggetti che avevano avuto un infarto del miocardio nei tre mesi precedenti l’arruolamento. I soggetti (85% maschi, 51% con età inferiore ai 60 anni) sono stati assegnati, per randomizzazione, a uno di quattro tipi di trattamento:
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2836 soggetti hanno ricevuto 1 g/die di olio di pesce che conteneva etil esteri di EPA e DHA in un rapporto da 1 a 2;
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2830 soggetti hanno ricevuto 300 mg di vitamina E (D alfa-tocoferolo sintetico);
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2830 soggetti hanno assunto sia gli oli di pesce sia la vitamina E;
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controlli.
L’endpoint primario era una combinazione di mortalità, infarto miocardico non fatale e ischemia cerebrale. Il trattamento con olio di pesce ha ridotto in maniera significativa tale endpoint. L’effetto del trattamento combinato, olio di pesce e vitamina E, era simile a quello ottenuto nel gruppo trattato con olio di pesce. Sebbene la vitamina E abbia indotto un trend di riduzione della mortalità, tale trend non era significativo. Non sono stati riportati effetti avversi a eccezione di lievi sintomi gastrointestinali. L’olio di pesce ha diminuito i livelli di trigliceridi del 3,4%. Il risultato più significativo di questo studio è stata la diminuzione del rischio di mortalità in generale e di morte cardiaca improvvisa. È stato ipotizzato che la riduzione della morte cardiaca improvvisa sia dovuta all’effetto antiaritmico dei LCPUFA. Questa indagine ha dimostrato che una dose giornaliera di meno di 1 g di EPA e di DHA può salvare 20 vite ogni 1000 pazienti che hanno avuto un infarto del miocardio.
Nel Dietary and Reinfarction Trial (DART) si è osservata una riduzione delle recidive di infarto del miocardio in concomitanza dell’aumento dell’assunzione di omega3 con la dieta.
3. Riduzione dell’aggregazione piastrinica e della pressione sanguigna
L’EPA è il precursore delle prostaglandine (PG) della serie 3, dei leucotrieni (LT) della serie 5 e dei trombossani (TX) della serie 3. Essendo il precursore nella sintesi degli eicosanoidi TXA3 e di LTB5, si comprende come l’EPA contenuto negli oli di pesce possa ridurre l’aggregazione piastrinica e aumentare la vasodilatazione, che potrebbero essere responsabili, almeno in parte, degli effetti dell’olio di pesce che portano alla riduzione dell’attività coagulante e della pressione sanguigna.
Una metanalisi di 17 studi controllati ha indicato che l’integrazione dietetica con olio di pesce alla dose giornaliera di 3 g o più può ridurre in maniera clinicamente significativa sia la pressione sistolica sia quella diastolica in soggetti ipertesi non trattati, ma non nei normotesi. Le dosi di EPA e DHA utilizzate in queste ricerche andavano da 1 a 15 g (Appel 1993).
4. Effetto antinfiammatorio sul sistema muscolo-scheletrico
Diversi meccanismi sembrano coinvolti nell’attività antinfiammatoria di EPA e DHA. Essi inibiscono in modo competitivo la conversione dell’acido arachidonico in eicosanoidi proinfiammatori, prostaglandine PG E2 e leucotrieni LTB4, riducendone così la sintesi. In volontari sani e in pazienti con artrite reumatoide, EPA e DHA inibiscono la sintesi delle citochine infiammatorie, il fattore di necrosi tumorale (TNF-alfa) e l’interleukina (IL-1alfa).
Una revisione sistematica ha preso in considerazione 18 studi clinici randomizzati in doppio cieco svolti tra il 1985 e il 2012. In questi studi i pazienti avevano ricevuto una dose compresa tra 2 e 9,1 g di omega3 per un periodo variabile tra le 12 e le 52 settimane. In 10 di questi studi era osservabile una riduzione del dolore associato ad artrite reumatoide. In uno studio clinico, Curtis e colleghi hanno dimostrato come gli omega 3 possano influenzare l’attività dei fattori infiammatori che sono alla base dei processi degradativi della cartilagine nei soggetti affetti da artrosi.
5. Effetto antinfiammatorio della mucosa intestinale
Diversi meccanismi sembrano coinvolti nell’attività antinfiammatoria di EPA e DHA. Essi inibiscono in modo competitivo la conversione dell’acido arachidonico in eicosanoidi proinfiammatori, prostaglandine PG E2 e leucotrieni LTB4, riducendone così la sintesi. In volontari sani e in pazienti con artrite reumatoide, EPA e DHA inibiscono la sintesi delle citochine infiammatorie, il fattore di necrosi tumorale (TNF-alfa) e l’interleukina (IL-1alfa).
Una revisione sistematica ha preso in considerazione 18 studi clinici randomizzati in doppio cieco svolti tra il 1985 e il 2012. In questi studi i pazienti avevano ricevuto una dose compresa tra 2 e 9,1 g di omega3 per un periodo variabile tra le 12 e le 52 settimane. In 10 di questi studi era osservabile una riduzione del dolore associato ad artrite reumatoide. In uno studio clinico, Curtis e colleghi hanno dimostrato come gli omega 3 possano influenzare l’attività dei fattori infiammatori che sono alla base dei processi degradativi della cartilagine nei soggetti affetti da artrosi.
5. Effetto antinfiammatorio della mucosa intestinale
Grazie all’effetto di riduzione della sintesi di prostaglandine e leucotrieni, gli omega 3 possono svolgere un ruolo importante anche nella riduzione del processo infiammatorio in soggetti affetti da Sindrome del Colon Irritabile. Nonostante in letteratura le indagini sull’utilità degli omega 3 nell’approccio a tale condizione abbiano dato risultati controversi, il loro effetto antinfiammatorio resta incontestabile.
6. Benessere cognitivo: dalla vita intrauterina alla terza età
Il tessuto nervoso in via di sviluppo del feto prima e del bambino poi si compone di lipidi complessi. Il contenuto lipidico (DHA in particolare) della dieta materna, del latte materno o di quello artificiale (se l’allattamento al seno non è possibile) ha quindi fondamentale importanza non solo come fonte di energia, ma anche in quanto rappresenta la fonte delle molecole strutturali del sistema nervoso centrale.
L’acido docosaesaenoico (DHA) è un acido grasso polinsaturo a catena lunga (LC-PUFA) del tipo n-3 o omega 3. Il DHA è un costituente vitale dei fosfolipidi della membrana della cellula, in particolare di quelle cerebrali e retiniche. Esso è necessario per uno sviluppo neurale ottimale e per l’acuità visiva. Il DHA è l’acido grasso omega 3 più abbondante nel latte umano.
Studi recenti suggeriscono che il DHA potrebbe svolgere un ruolo nella prevenzione del morbo di Alzheimer. In un modello murino di Alzheimer, un regime alimentare ricco di DHA ha ridotto l’accumulo di beta-amiloide di più del 40% (Lim 2005). Nel cervello di pazienti con morbo di Alzheimer sono stati osservati bassi livelli di DHA (Sodeberg 1991).
In uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo, 174 pazienti con morbo di Alzheimer hanno ricevuto 1,7 grammi di DHA e 0,6 grammi di EPA al giorno o placebo per sei mesi. Sebbene sia difficile trarre conclusioni cliniche significative da questo studio, alcune indicazioni suggeriscono che DHA ha positivamente modificato l’attività delle citochine in suddetti soggetti. Alcune citochine e fattori di crescita considerati in questo studio, infatti, sono associati allo sviluppo del morbo di Alzheimer (Plourde 2007).
Lungi dall’affermare che DHA (o EPA) possa essere di reale beneficio nel morbo di Alzheimer, occorre comunque notare che i risultati ottenuti in alcune sperimentazioni preliminari indicano un beneficio che si manifesta nella stabilizzazione della progressione della patologia agli stadi iniziali del declino cognitivo.
7. DHA e funzione visiva
Il DHA è il principale acido grasso polinsaturo del segmento esterno dei coni e dei bastoncelli della retina. Molti studi hanno evidenziato una correlazione tra lo sviluppo visivo e la concentrazione plasmatica ed eritrocitaria di DHA. È noto che il DHA ha effetti positivi sulla salute dell’occhio e può aiutare a proteggere le cellule nervose della retina. Secondo quanto osservato, una maggiore assunzione alimentare di acidi grassi omega 3 riduce l’angiogenesi patologica della retina. Altri studi suggeriscono che DHA può prevenire la degenerazione maculare senile. Un maggiore consumo di DHA e di EPA è stato recentemente associato a una riduzione di circa il 70% del rischio di degenerazione maculare senile (Connor 2007).
8. Benessere della pelle
Un recente studio randomizzato, controllato, in doppio cieco, ha suggerito che la supplementazione con DHA potrebbe essere utile in pazienti con eczema atopico. Il dosaggio di DHA utilizzato in questo studio è stato di 5,4 g/die per otto settimane. I soggetti che hanno ricevuto DHA hanno avuto un netto miglioramento di diversi parametri rispetto al gruppo di controllo (Koch 2008).
Affinché svolga tutte queste preziose attività, l'olio che scegliamo deve però essere di alta qualità. Nelle presse industriali si sviluppano alte temperature e addirittura in alcuni casi vengono utilizzati dei solventi per estrarre fino all'ultima goccia di olio. Questi passaggi portano a un impoverimento totale dell'olio di pesce.
Il metodo di estrazione migliore è la distillazione molecolare.
Questo metodo è detto "short-path" (distillazione a breve tragitto). Questa innovativa tecnica di distillazione fa sì che:
Le pressioni che si raggiungono dentro questi distillatori sono notevolmente inferiori a quello dei distillatori tradizionali. È chiaro che estrarre gli omega 3 con queste tecniche non può che portare a una maggiore qualità dei principi attivi.
Gli integratori a base di olio di pesce dovrebbero essere usati sotto supervisione medica nei bambini e nelle donne in gravidanza o che allattano al seno. Cautela, per i suoi effetti potenziali antitrombotici, nei soggetti affetti da emofilia e in trattamento con warfarin. La somministrazione di olio di pesce dovrebbe essere interrotta prima di ogni intervento chirurgico. Vi sono risultati conflittuali circa gli effetti dell’olio di pesce sul controllo glicemico in pazienti non diabetici con intolleranza al glucosio e nei pazienti affetti da diabete di tipo 2. Nonostante alcune segnalazioni precedenti di un peggioramento del controllo glicemico in questi soggetti, studi più recenti e meglio controllati non hanno messo in luce alcun effetto negativo dell’olio di pesce sulla tolleranza al glucosio, sulla secrezione insulinica o sulla resistenza all’insulina in soggetti non diabetici. Come misura cautelativa, i pazienti diabetici dovrebbero discutere con il loro medico curante circa l’opportunità di un’integrazione alimentare a base di EPA e DHA e monitorare la glicemia.
Non sono stati segnalati effetti collaterali gravi fino a dosi di olio di pesce pari a 15 g/die, anche per lunghi periodi di tempo. Sono invece stati riportati effetti collaterali lievi come nausea e diarrea, alitosi, eruttazioni, odore di pesce nell’alito, nelle urine e nelle feci. L’effetto anticoagulante può causare, occasionalmente, piccole emorragie nasali e facilità alle ecchimosi.
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