La cistite
La cistite batterica colpisce prevalentemente le donne (l’80% dei casi si verifica nel sesso femminile); il 37% delle donne ne ha sofferto almeno una volta nella vita. Il primo episodio generalmente si verifica tra i 16 e i 35 anni e dopo il primo episodio la probabilità di recidiva è del 27% entro 6 mesi e del 48% entro un anno.
Le donne risultano essere maggiormente colpite da questo tipo di infezioni soprattutto per ragioni anatomiche:
1) la brevità dell’uretra, che nella donna misura circa 4-6 cm (rispetto ai 25-30 cm nell’uomo);
2) la vicinanza dell’uretra alla vagina e al retto;
3) i fattori ormonali: gli estrogeni esercitano un effetto protettivo nei confronti delle infezioni batteriche, pertanto le condizioni nelle quali gli estrogeni diminuiscono (gravidanza, menopausa) determinano un aumento del rischio di cistite.
Esiste poi una predisposizione genetica di alcuni individui a sviluppare più frequentemente infezioni urinarie, probabilmente legata alla mancanza o all’alterazione di alcuni fattori di protezione normalmente presenti a livello genitourinario, quali:
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presenza di sostanze chiamate glicosaminoglicani che impediscono l’adesione dei batteri patogeni alla parete della vescica;
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mancanza di batteri non patogeni nella vagina e nella zona peri-uretrale, che impediscono la crescita dei ceppi patogeni;
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pH acido nell’urina che ostacola la proliferazione batterica;
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una proteina renale (proteina di Tamm-Horsfall) che impedisce l’adesione dei batteri patogeni alla parete vescicale;
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immunoglobuline specifiche sulla parete vescicale che costituiscono una barriera alla colonizzazione batterica.
Dal punto di vista clinico la cistite si manifesta con i seguenti sintomi, che possono essere presenti tutti contemporaneamente o solo in parte:
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pollachiuria: aumento del numero di minzioni durante le 24 ore, accompagnato dalla riduzione del volume dell’urina per ogni atto minzionale;
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disuria: difficoltà nell’urinare (l’urina a gocce);
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stranguria: dolore o bruciore durante la minzione, talvolta accompagnato da freddo e brividi;
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dolore sovrapubico accompagnato alla sensazione di non aver svuotato la vescica completamente;
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tenesmo vescicale: fastidiosa sensazione di un urgente desiderio di urinare, con urine torbide e a volte maleodoranti;
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perdita di sangue insieme all’urina;
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febbre: se la cistite si propaga alle alte vie urinarie la temperatura corporea può salire anche notevolmente.
Gli agenti eziologici più frequentemente responsabili delle cistiti batteriche sono quelli normalmente presenti nelle feci. Essi in particolari condizioni (ad esempio la stipsi) possono infettare le basse vie urinarie. Nell’80% dei casi il responsabile della cistite è l’Escherichia coli, seguono poi lo Staphylococcus epidermidis (9%), lo Streptococcus faecalis (1-3%) e infine gonococchi, miceti, tricomonidi e Proteus.
Vista la frequenza con cui queste infezioni si manifestano e considerando il fatto che dopo il primo episodio le recidive sono molto probabili, non sarebbe opportuno somministrare continui cicli di antibiotici in quanto si incorrerebbe senza dubbio al manifestarsi di resistenze batteriche. I dati riguardanti la resistenza agli antibiotici cominciano ad assumere infatti aspetti inquietanti. Il 9,5% delle donne manifesta resistenza alla ciprofloxacina, il 24% all’associazione trimetoprim+sulfametossazolo.
La strategia più utile è quella di evitare le recidive, prevenendole con principi attivi naturali che siano sicuri nell’utilizzo, efficaci e non sviluppino resistenze batteriche.
Possono essere pertanto utilizzati nutraceutici con proprietà diuretiche, lenitive e disinfettanti delle basse vie urinarie. In particolare due delle sostanze maggiormente impiegate sono l’uva ursina, per le sue proprietà antisettiche e batteriostatiche, e il mirtillo rosso americano, per la sua capacità di impedire l’adesione dei colibacilli alle pareti della vescica. Accanto a queste, altri estratti fitoterapici come l’ortosiphon e la pilosella possono aumentare il volume urinario e ridurre l’infiammazione, mentre l’echinacea aumenta le difese immunitarie.
L’uva ursina è un arbusto sempreverde, diffuso anche in Italia, con foglie verde scuro, coriacee, caratterizzate da nervature che nella pagina inferiore conferiscono il peculiare aspetto zigrinato. Le foglie essiccate costituiscono la droga. Per essere considerate farmacologicamente attive esse devono contenere almeno il 7% di arbutina, il derivato glicosilato dell’idrochinone.
Il glucoside come tale non è attivo, ma nell’intestino crasso viene idrolizzato dalla flora batterica intestinale con liberazione dell’idrochinone. L’idrochinone viene assorbito, ma immediatamente coniugato dal fegato con acido glucuronico per essere più solubile e più facilmente eliminabile per via renale. Nella vescica il coniugato viene nuovamente idrolizzato a idrochinone da parte dei batteri infettanti; l’idrolisi è facilitata dall’ambiente basico generato dai batteri stessi. Le urine dei soggetti affetti da cistite tendono infatti alla basicità per la presenza di microrganismi patogeni che degradano l’urea in ammoniaca e quindi sono l’ambiente ideale affinché l’uva ursina esplichi la sua azione antibatterica.
Il meccanismo d’azione dell’uva ursina si basa proprio sulla presenza dell’idrochinone. I chinoni infatti sono molecole molto reattive: i loro doppi legami sono dotati di proprietà elettrofile e possono formare legami covalenti con gruppi chimici vari (tioli, ammine ecc.) presenti sulla superficie batterica; questo molto spesso ne fa delle sostanze dotate di potere battericida.
Estratti di uva ursina, nonché l’arbutina, esercitano attività antimicrobica nei confronti di diversi microrganismi responsabili delle infezioni del tratto urinario, tra cui Escherichia coli, Staphylococcus aureus, Bacillus subtilis, Mycobacterium smegmatis.
Uno studio clinico effettuato su 57 donne con cistite ricorrente, trattate per un mese con un estratto idroalcolico di uva ursina con contenuto standardizzato di arbutina e metilarbutina e seguite poi per un anno, ha dimostrato un’incidenza dello 0% di recidive di cistite nelle donne trattate con uva ursina e del 23% nel gruppo trattato con placebo (Larsson et al., 1993).
Gli effetti collaterali dell’uva ursina sono molto rari, tuttavia sono stati riportati casi di nausea e vomito in soggetti sensibili (presumibilmente per l’elevato contenuto di tannini). L’utilizzo di uva ursina è controindicato in gravidanza, durante l’allattamento e nei bambini al di sotto dei 12 anni.
Il mirtillo rosso americano, o cranberry, è un piccolo arbusto del Nord America. La droga è costituita dal frutto maturo e i principali componenti attivi sono le proantocianidine (PAC).
Il meccanismo d’azione consiste nell’inibizione dell’adesione dei microrganismi alle cellule dell’epitelio urinario. In particolare due costituenti hanno effetto antiadesivo, il fruttosio e le PAC. Il fruttosio inibisce l’adesione delle fimbrie (strutture simile ai flagelli, ma più corte e rigide che permettono ai batteri di aderire all’ambiente in cui si trovano) di tipo 1, mentre le proantocianidine inibiscono l’adesione delle fimbrie di tipo P, dette adesine. In questo modo il cranberry interferisce con l’adesione di E. coli.
Il cranberry inoltre è in grado di acidificare le urine, creando un ambiente sfavorevole alla proliferazione batterica.
Il trattamento con cranberry riduce la percentuale delle recidive. In uno studio sono state arruolate 150 donne con infezioni delle vie urinarie da E. coli, randomizzate in tre gruppi:
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Gruppo 1: 50 ml/die di succo di mirtillo (7,5 g cranberry) per 6 mesi;
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Gruppo 2: 100 ml di una bevanda contenente Lactobacillus GG (4 x 1010 cfu) per 5 giorni alla settimana;
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Gruppo 3: placebo.
La valutazione è stata eseguita sul numero di infezioni sintomatiche e sulla presenza nelle urine di carica batterica. Dopo 6 mesi di follow-up, solo il 16% delle donne del gruppo 1, contro il 39% di quelle del gruppo 2 e il 36% di quelle del gruppo 3, aveva avuto almeno un episodio infettivo (Kontiokari et al., 2001).
Come precedentemente illustrato, l’uva ursina e il mirtillo rosso agiscono a valori di pH diversi. L’approccio terapeutico ideale consisterebbe nell’assumere ai primi sintomi di cistite l’uva ursina che esplica la sua attività al pH basico che si presenta nel momento in cui è in atto l’infezione; in seguito, dopo alcuni giorni, va iniziato il trattamento con cranberry, che acidifica l’urina e contrasta le recidive.
In una recente revisione sistemica sono stati identificati 7 studi clinici randomizzati con placebo relativi alla capacità del mirtillo rosso di prevenire le recidive. In cinque di questi studi è stato utilizzato succo di mirtillo, in uno studio sono state utilizzate delle compresse, mentre in uno studio a tre gruppi paralleli sono stati utilizzati sia il succo che le compresse. Quattro di questi studi erano a gruppi incrociati, mentre tre erano a gruppi paralleli. I risultati di questa revisione sistemica suggeriscono che il mirtillo americano possa ridurre il numero delle infezioni sintomatiche nelle donne per un periodo di 12 mesi. (Jepson e coll. 2004)
Il mirtillo rosso americano è generalmente ben tollerato. Se assunto in elevate quantità potrebbe provocare diarrea e, visto il suo cospicuo contenuto di ossalato di calcio, l’utilizzo è controindicato in individui predisposti all’urolitiasi.
Possono coadiuvare l’effetto di questi due rimedi anche l’ortosiphon e la pilosella. Il più importante effetto dell’ortosiphon consiste nell’aumento del volume di urina, con risparmio di elettroliti come sodio e potassio. Tale effetto è importante in soggetti affetti da infiammazione del tratto urinario e in caso di renella. Esso inoltre è in grado di coadiuvare le terapie antibatteriche in caso di infezioni delle vie urinarie.
La pilosella possiede attività antinfiammatoria in quanto è in grado di inibire l’attività della 15-lipossigenasi. La pilosella inoltre possiede attività antibatterica nei confronti di Escherichia coli, Proteus, Pseudomonas aeruginosa, Shigella dysenteria, Salmonella enteritidis, Salmonella typhi, Staphylococcus aureus, Streptococcus faecalis e Candida albicans. L’estratto acquoso di Pilosella è risultato attivo sull’88,8% dei microrganismi testati a un dosaggio di 20 μl/disco (Barbour et al., 2004). Questa azione sembra essere dovuta alla componente lipofila della pianta ovvero ai flavonoidi e alle cumarine (Nostro et al., 2000). La pilosella inoltre possiede attività diuretica.
Poiché abbiamo visto che la cistite è generalmente di origine batterica, la somministrazione di estratti ad attività immunostimolante può aiutare il sistema immunitario a rispondere efficacemente alle infezioni. Uno dei fitoterapici che maggiormente può esplicare questa attività è l’Echinacea angustifolia, una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Asteraceae. La droga è costituita dalle radici e l’echinacoside è il principale componente attivo.
L’echinacea ha una buona azione immunostimolante aspecifica confermata da prove sperimentali (Elssaserbeile et al., 1996) con aumento della fagocitosi, dei leucociti totali e dei neutrofili in particolare, della differenziazione dei granulociti immaturi in granulociti maturi, del numero e dell’attività dei macrofagi e della produzione di interferone, di interleuchine e di TNF da parte dei macrofagi. L’echinacea possiede anche attività batteriostatica e fungistatica diretta. In particolare è stato dimostrato che l’estratto secco di questa droga è in grado di inibire completamente la crescita, in vitro, di E. coli e di S. aureus. Questo effetto raggiunge il massimo dopo circa 4 giorni e perdura per circa 7 giorni al termine della terapia (Schaulte KE, 1967).
I dati di sicurezza sull’echinacea sono rassicuranti. In letteratura sono stati riportati alcuni episodi di dermatite da contatto, allergia ed anafilassi (nessuno fatale). Si stima che la possibilità di eventi avversi sia di circa 1 su 100.000. L’echinacea è controindicata in caso di malattie autoimmuni e insoggetti che abbiano subito trapianti di organo. Infine bisogna considerare la possibilità di interazioni farmacologiche in quanto l’echinacea modifica la capacità metabolica degli enzimi del citocromo CYP1A2 e CYP3A.
Le infezioni delle vie urinarie sono nella maggior parte dei casi dovute ai batteri provenienti dalle feci. Poiché le alterazioni della composizione batterica delle feci dipendono dalla dieta, è possibile che accorgimenti dietetici possano ridurre il rischio di recidive. Sarebbe pertanto opportuno ridurre al minimo il consumo di zuccheri semplici e carboidrati raffinati. Evitare il consumo di caffè, alcolici, tè, bibite zuccherate, dolcificanti artificiali e cibi piccanti. Anche il consumo di latticini dovrebbe essere limitato.
L’assunzione di probiotici invece risulta favorevole nella prevenzione delle recidive.